Tecnologia NASA per lo Spazio ora bonifica centrali nucleari

centrale nucleare demolita

Due esplosioni controllate abbattono le torri di raffreddamento dell’impianto atomico di Gundremmingen, situato in Baviera. Nell’ottobre 2025, le due costruzioni alte 160 metri crollano sotto gli occhi di centinaia di spettatori. Uno scenario impressionante, ma dietro questa demolizione si nasconde un lavoro certosino invisibile: controllare che pareti, superfici e infrastrutture non contengano residui radioattivi.

Adesso questo processo potrebbe accelerare sensibilmente grazie a una soluzione tecnologica proveniente dall’esplorazione spaziale.

Dallo spazio profondo ai siti atomici terrestri

Il rilevamento della contaminazione radioattiva negli impianti nucleari è sempre stato un’operazione dispendiosa in termini di tempo e risorse. I sensori a semiconduttore attualmente impiegati riescono a coprire solamente pochi metri quadrati ogni ora e necessitano di un sistema di raffreddamento costante a –200 °C mediante azoto liquido. “Immaginando l’applicazione di questo metodo a un’intera sala e successivamente a un intero stabilimento, diventa evidente quanto sia poco pratico e oneroso”, ha dichiarato Thomas Siegert dell’Università Julius-Maximilians di Würzburg, specialista in fisica nucleare applicata allo spazio.

Per risolvere queste problematiche, il suo gruppo di ricerca ha scelto di implementare una tecnologia finora utilizzata a centinaia di chilometri d’altezza: il rilevamento mediante scintillazione, impiegato dai satelliti per riconoscere materiali radioattivi nell’universo.

Il principio di funzionamento della telecamera innovativa

L’iniziativa collaborativa scintLaCHARM, sostenuta dal governo federale tedesco con un finanziamento di quasi due milioni di euro, mira a creare telecamere capaci di localizzare in poche ore tutte le sorgenti di radioattività presenti in un ambiente.

Questi strumenti utilizzano cristalli a scintillazione: emettono luce quando vengono attraversati da raggi gamma. Quando più cristalli si accendono consecutivamente, è possibile determinare con precisione la direzione e l’intensità della radiazione. “Le particelle dello stesso isotopo possiedono sempre identica energia, permettendo così un’identificazione univoca”, ha precisato Siegert.

Il prodotto finale è una rappresentazione tridimensionale dell’ambiente, elaborata attraverso la capacità computazionale dei supercomputer, nella quale le zone contaminate emergono come punti luminosi. Un beneficio cruciale per separare immediatamente ciò che richiede smaltimento speciale da ciò che può essere gestito come rifiuto ordinario.

L’intelligenza artificiale come sistema di selezione

Il programma informatico della telecamera, realizzato in collaborazione con il team di Uwe Gerd Oberlack dell’Università di Mainz, incorpora algoritmi di intelligenza artificiale. Scopo: identificare ed eliminare il disturbo di fondo generato dalla radiazione naturale presente ovunque sul pianeta. “La sua intensità cambia in base alla località e può compromettere le rilevazioni”, ha evidenziato Siegert. L’intelligenza artificiale consente di visualizzare esclusivamente ciò che presenta contaminazione effettiva, migliorando l’accuratezza delle verifiche.

Gli stessi ricercatori collaborano anche al telescopio spaziale per raggi gamma COSI della NASA, un’esperienza che alimenta lo sviluppo di algoritmi avanzati ora trasferiti alle applicazioni nucleari terrestri.

Una rete di competenze specializzate

L’iniziativa vede la partecipazione di cinque partner, inclusa Brenk Systemplanung GmbH, esperta nella dismissione di impianti atomici, e Hellma Materials GmbH, incaricata della fabbricazione dei cristalli e dei modelli di telecamera sotto la supervisione di Sibylle Petrak. Contribuiscono anche Fraunhofer INT, con lo specialista di metrologia Sebastian Chmel, e l’Università Johannes Gutenberg di Mainz.

Insieme stanno introducendo negli ambienti delle centrali atomiche un frammento di tecnologia concepita per osservare l’universo lontano. E provano che ciò che serve per decifrare le tracce radioattive di un’esplosione stellare può, con gli adattamenti appropriati, rendere più efficiente anche la dismissione degli impianti nucleari terrestri.

Fonte: Julius-Maximilians-Universität Würzburg