Svelato il mistero della fine degli ominidi nani di Flores

hobbit

L’enigma dell’Homo floresiensis, la creatura alta poco più di un metro che conosciamo con l’appellativo di “hobbit”, ha rappresentato per lungo tempo uno dei vuoti più affascinanti nella comprensione della nostra evoluzione. Questo piccolo ominide abitò l’isola vulcanica indonesiana di Flores per oltre un milione di anni. Nonostante possedesse un cranio di dimensioni ridottissime, era capace di fabbricare utensili litici e si era adattato perfettamente a un territorio isolato e ostile. Tuttavia, il motivo della sua improvvisa sparizione circa 50.000 anni or sono rimaneva avvolto nel mistero.

Un recente studio apparso su Communications Earth & Environment fornisce finalmente una risposta convincente, suggerendo che la causa non fu un singolo evento catastrofico, ma piuttosto un progressivo deterioramento delle condizioni climatiche che, anno dopo anno, erose le possibilità di sussistenza di questi piccoli esseri umani.

Emerge così una narrazione tanto affascinante quanto preoccupante: un territorio che si contrae, risorse idriche in calo, animali da caccia che svaniscono, e una popolazione di ominidi costretta ad abbandonare il proprio habitat proprio mentre i nostri progenitori diretti, gli Homo sapiens, facevano la loro comparsa nell’arcipelago.

Il regime pluviometrico mutevole e il declino progressivo

Per ricostruire gli eventi, gli studiosi hanno esaminato una formazione calcarea cresciuta nelle viscere della caverna di Liang Luar, situata a breve distanza da Liang Bua, il sito archeologico principale degli hobbit. Ogni deposito della formazione rappresenta una sorta di registro naturale, creato dalle gocce d’acqua che cadono dalla volta e catturano tracce del clima esterno.

Studiando le minuscole variazioni chimiche, i ricercatori hanno tracciato l’evoluzione delle precipitazioni durante l’ultimo periodo glaciale. Il quadro che ne risulta è straordinariamente variabile: una fase molto piovosa tra 91.000 e 76.000 anni fa; un lungo periodo più irregolare e stagionale fino a 61.000 anni fa; infine, come una morsa che si stringe gradualmente, una aridità crescente e prolungata, paragonabile a quella delle zone più secche dell’Australia orientale contemporanea.

Quest’ultima fase sembra aver agito come una trappola ecologica. Il piccolo corso d’acqua Wae Racang, essenziale nei mesi aridi, potrebbe essersi quasi prosciugato. La flora, sotto pressione idrica, avrebbe ridotto la disponibilità alimentare. E gli Stegodon pigmei, gli elefanti nani che rappresentavano la principale risorsa proteica per gli hobbit, avrebbero cercato rifugio altrove.

Quando questi pachidermi si allontanarono, gli ominidi li seguirono. Liang Bua, che per quasi 140.000 anni aveva accolto queste comunità, iniziò a spopolarsi progressivamente.

La connessione tra clima, pachidermi nani e ominidi

A supporto di questa concatenazione di fattori, il gruppo di ricerca ha esaminato anche lo smalto dentale fossile degli Stegodon, estratto da livelli sempre più antichi della grotta. I loro valori isotopici corrispondevano perfettamente a quelli della formazione calcarea. Non si trattava di casualità: era una perfetta armonia climatica, in cui ogni elemento dell’ecosistema reagiva al medesimo mutamento.

Il 90% dei reperti di Stegodon appartiene al periodo più favorevole, quella fase ideale tra 76.000 e 61.000 anni fa. Quando le precipitazioni calarono, anche loro diminuirono drasticamente. Gli hobbit, privati delle loro fonti vitali, subirono probabilmente la stessa sorte.

Nel frattempo, in superficie, il paesaggio si trasformava, si inaridiva, diventava sempre meno accogliente. Un’isola di dimensioni limitate può essere un rifugio sicuro, ma anche una prigione senza via d’uscita.

L’eruzione vulcanica e l’arrivo dei sapiens

Esiste un momento, nella sequenza stratigrafica di Liang Bua, che sembra rappresentare l’epilogo di questa vicenda: uno spesso deposito di cenere vulcanica accumulato circa 50.000 anni fa, sopra gli ultimi strumenti e gli ultimi resti di Stegodon. Non possiamo stabilire con certezza se quella cenere abbia affrettato l’estinzione; certamente ne testimonia la conclusione.

Immediatamente dopo emergono le prime tracce dell’Homo sapiens. È plausibile che i due gruppi non si siano mai incontrati direttamente, ma è altrettanto possibile che ci sia stato un contatto. In tal caso, patogeni, competizione per le risorse o semplicemente la maggiore adattabilità dei sapiens potrebbero aver completato un processo già avviato.

Questo nuovo studio non risolve definitivamente l’enigma, ma ci fornisce finalmente un quadro solido in cui inserirlo. E soprattutto ci rammenta quanto la sopravvivenza umana, indipendentemente dalla specie, dipenda da qualcosa di fragile, vitale e tutt’altro che garantito: l’acqua. La vicenda degli hobbit non è una leggenda remota. È una storia che riguarda anche il nostro presente.

Fonte: Nature