Router Wi-Fi accanto al divano: rischi reali o paura infondata?

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Nelle abitazioni del nostro Paese si ripete ogni giorno la stessa scena: tornati a casa, ci si rilassa davanti alla televisione mentre il router lavora silenzioso, magari posizionato proprio accanto al divano o su uno scaffale a pochi metri. Questo dispositivo opera senza farsi notare, eppure proprio la sua discrezione alimenta dubbi e perplessità. C’è chi si interroga sulla sicurezza di questa prossimità costante.

È un interrogativo che Vincenzo Schettini, docente divenuto celebre divulgatore attraverso “La Fisica che Ci Piace”, incontra frequentemente. Il suo approccio è schietto e riesce a rendere accessibili argomenti apparentemente ostici, traducendoli in esempi concreti e quotidiani. La sua analisi va dritta al punto: comprendere realmente cosa produce un router e quali effetti hanno queste emissioni sul nostro organismo.

Le onde radio non alterano la struttura cellulare

Schettini inizia dal concetto fondamentale: la tecnologia Wi-Fi funziona attraverso onde radio. Si tratta dello stesso tipo di segnale che utilizziamo per sintonizzarci su una stazione radiofonica o per effettuare chiamate telefoniche. Queste onde non possiedono l’intensità necessaria per modificare il DNA, appartenendo alla famiglia delle radiazioni non ionizzanti. In termini pratici, mancano dell’energia sufficiente per provocare alterazioni a livello cellulare.

Questa distinzione rappresenta l’elemento cruciale che spesso sfugge. Il router domestico non ha alcuna correlazione con quelle forme di radiazione che, ad esempio, necessitano di schermature specifiche in contesti sanitari. La differenza tra le due tipologie è abissale, e questa sola informazione dovrebbe ridimensionare molte preoccupazioni.

Rimane la questione del riscaldamento, che talvolta suscita ulteriori inquietudini. Schettini lo spiega con un’analogia immediata: soltanto un’emissione estremamente potente può generare calore nei tessuti biologici, come avviene con un forno a microonde. Tuttavia, l’intensità emessa da un normale router casalingo è così ridotta da essere incomparabile con quel fenomeno. Una conferma arriva anche dall’Istituto Superiore di Sanità, che classifica l’esposizione come “nettamente inferiore” rispetto agli standard internazionali.

Distanza, razionalità e convivenza con la tecnologia domestica

Esiste inoltre un elemento quasi ovvio, che Schettini non manca di sottolineare: la forza del segnale decresce velocemente allontanandosi dalla fonte. È la ragione per cui, in certi casi, basta una parete divisoria per attenuare la connessione Wi-Fi. Se il segnale stenta ad arrivare al telefono nella stanza adiacente, appare improbabile che possa rappresentare un rischio quando ci troviamo sul divano nelle vicinanze.

Chi desidera maggiore tranquillità può comunque intervenire modificando la potenza di trasmissione del dispositivo oppure impostandone lo spegnimento automatico durante la notte. I modelli contemporanei offrono queste opzioni senza difficoltà. Non si tratta di precauzioni indispensabili dal punto di vista sanitario, ma possono contribuire a una maggiore serenità personale.

E per coloro che proprio non tollerano l’idea di avere il router troppo a portata di mano, esiste una soluzione ancora più immediata: collocarlo in un’area della casa meno abitata. Non occorre stravolgere la disposizione degli spazi. Sono quei piccoli gesti che rispondono più a un bisogno psicologico che a una reale necessità scientifica.

In conclusione, esistono effettivi motivi di preoccupazione?

Ogni evidenza converge verso la medesima conclusione. Le radiazioni non ionizzanti non possiedono la capacità di compromettere il materiale genetico, l’emissione dei router casalinghi è minima e le autorità sanitarie confermano che i valori rilevati sono ampiamente sotto i limiti stabiliti. La scienza, in questa circostanza, agisce come un rimedio contro le apprensioni: non cancella il dubbio iniziale, ma lo esamina attentamente e lo decostruisce razionalmente.

Il router, anche quando posizionato accanto al divano, non costituisce un rischio. Il resto dipende dalla nostra percezione individuale, che possiamo modulare con semplici accorgimenti, senza trasformare un comune dispositivo domestico in una minaccia nascosta.

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Fonte: La Fisica Che ci Piace