C’è qualcosa di inquietante ma anche di profondamente umano nel vedere Aidol, il primo automa antropomorfo russo equipaggiato con intelligenza artificiale, crollare miseramente al suolo proprio nel momento della sua prima apparizione pubblica.
Il macchinario è apparso sulla scena al Centro Congressi Yarovit Hall della capitale russa davanti a un pubblico di reporter e spettatori. Mentre risuonavano le note della celebre colonna sonora del film Rocky, dopo appena qualche movimento incerto, Aidol ha smarrito la stabilità precipitando in avanti, con il volto meccanico contro il pavimento.
Gli operatori presenti hanno tentato di rimettere in piedi la macchina e mascherare l’incidente con un drappo scuro, ma i componenti sparsi sulla pedana testimoniavano inequivocabilmente l’accaduto. La rovinosa discesa è durata pochi istanti, eppure ha assunto un valore simbolico straordinario: un androide concepito per deambulare, comunicare e gestire operazioni complesse che si schianta davanti a decine di osservatori, rivelando vulnerabilità e difetti. In quell’istante, Aidol ha cessato di essere semplicemente un dispositivo tecnologico, trasformandosi in un riflesso della nostra stessa natura.
Un insuccesso carico di significato
Proprio come una persona che barcolla per distrazione o un appoggio sbagliato, questo androide ha evidenziato che persino le macchine – nonostante la loro presunta infallibilità – necessitano di supporto esterno per risollevarsi. L’episodio ha generato reazioni contrastanti tra ilarità e compassione: è impossibile non sorridere, ma contemporaneamente proviamo una strana simpatia verso quell’automa che prova a muoversi nel nostro ambiente. Alla fine, la causa è stata identificata in un difetto di taratura dei dispositivi di bilanciamento e del meccanismo di controllo motorio, come ammesso con autoironia dal direttore generale Vladimir Vitukhin.
Ma stabilire responsabilità precise conta poco, perché questo clamoroso fallimento ha svelato al pubblico l’aspetto più vicino all’esperienza umana della tecnologia. Aidol incarna un traguardo della robotica antropomorfa: il suo design ambisce a replicare le espressioni umane e a eseguire movimenti articolati, conferendogli un’apparenza quasi “vivente” per chi lo guarda. Il crollo ci insegna che, malgrado i progressi tecnici, la debolezza e la necessità di assistenza non appartengono soltanto alla specie umana. In qualche modo, assistere alla caduta di un robot rappresenta una lezione di modestia e perseveranza: anche il dispositivo più evoluto richiede tempo per apprendere a orientarsi nella realtà.
A presentation of Aidol, a new first russian anthropomorphic robot with AI.
Walked on stage to Rocky soundtrack.
Didn’t survive round one. pic.twitter.com/0Dtm6YQeo5
— Dmitry Buenkov (@dibuenio) November 11, 2025
La ricerca prosegue
Aidol non costituisce l’unico esempio di robot antropomorfo in fase sperimentale. Imprese di ogni continente stanno destinando cifre enormi allo sviluppo di macchine in grado di relazionarsi con gli esseri umani. Soltanto nell’anno 2024, i finanziamenti mondiali hanno oltrepassato 1,6 miliardi di dollari, escludendo le somme colossali che Tesla ha impegnato nel progetto Optimus guidato da Elon Musk. Anche Optimus, al pari di Aidol, rimane un prototipo e manca una tempistica definita per la commercializzazione. Ogni scivolone, ogni imperfezione, costituisce una tappa obbligata nel cammino verso l’eccellenza tecnologica.
Il tonfo di Aidol possiede un valore che trascende il singolo evento. Ci rammenta che ogni avvio è precario, ogni movimento è titubante e ogni avanzamento necessita di un aiuto dall’esterno. Sorridere di questo incidente non significa schernire la scienza, ma riconoscervi una somiglianza con le nostre vicende personali: la necessità di qualcuno che ci tenda la mano per rimetterci in piedi, anche quando sembra un’impresa impossibile. Aidol cade, esattamente come l’essere umano, e richiede braccia soccorrevoli per ripartire, un delicato richiamo alla nostra stessa fragilità e al valore dell’apprendimento attraverso gli sbagli.
