Rivoluzione nella depurazione: via i PFAS dall’acqua in minuti

PFAS

Da sempre definiti forever chemicals perché considerati praticamente indistruttibili. I PFAS, composti chimici presenti in pentole antiaderenti, indumenti idrorepellenti e packaging per alimenti, rappresentano alcuni degli agenti contaminanti più ostinati da eliminare dall’ecosistema. Adesso, tuttavia, un innovativo sistema ecosostenibile si propone di rivoluzionare completamente la situazione, consentendo non soltanto di intercettarli nell’acqua, ma anche di annientarli velocemente senza generare ulteriori scorie nocive.

L’annuncio proviene da una partnership scientifica tra ricercatori americani e sudcoreani, ma riguarda da vicino anche il territorio italiano. I PFAS, infatti, sono protagonisti di gravi episodi di inquinamento ambientale anche nel nostro Paese, con ripercussioni tuttora al vaglio di ricerche mediche e controversie giudiziarie. Proprio per tale motivo, una soluzione che combina rapidità, efficienza e rispetto ambientale rappresenta non solo un traguardo accademico, ma un concreto motivo di ottimismo.

I PFAS hanno fatto la loro comparsa negli anni Quaranta grazie alle loro eccezionali caratteristiche di resistenza alle alte temperature, all’umidità e ai lipidi. Il rovescio della medaglia è che proprio questa resistenza li rende pressoché indistruttibili nell’ambiente naturale. Una volta rilasciati, raggiungono le riserve idriche sotterranee e, successivamente, arrivano direttamente nelle nostre case. Numerose ricerche hanno collegato l’esposizione continuativa a tali sostanze con lesioni epatiche, squilibri endocrini, compromissione delle difese immunitarie e determinate forme tumorali.

Dalla ricerca all’applicazione pratica

Il nucleo dell’innovazione consiste in un materiale inedito denominato layered double hydroxide, una composizione stratificata realizzata con rame e alluminio. È stato messo a punto attraverso la collaborazione tra gli studiosi della Rice University e del Korea Advanced Institute of Science and Technology. Nel corso delle prove, questo materiale ha evidenziato una capacità di catturare i PFAS superiore di oltre mille volte rispetto ai dispositivi attualmente più diffusi, come i filtri al carbone attivo.

Ma non è tutto. La rapidità costituisce un ulteriore fattore determinante. Mentre le metodologie convenzionali necessitano di ore, talvolta giornate intere, per abbassare la concentrazione di PFAS nell’acqua, questo innovativo materiale opera in pochi minuti, manifestando un’efficacia che ha stupito persino gli scienziati coinvolti. Il meccanismo risiede nella sua architettura interna: gli strati regolari e le sottili differenze di potenziale elettrico generano un contesto ideale per attrarre e bloccare le molecole dei PFAS.

Efficace anche in condizioni reali

Uno degli elementi più rilevanti è che questa tecnologia non opera esclusivamente in situazioni controllate. Le verifiche sono state condotte su acqua fluviale, acqua destinata al consumo umano e reflui, conseguendo esiti uniformi e attendibili. Il dispositivo ha dimostrato di adeguarsi sia a installazioni fisse sia a flussi dinamici, una peculiarità essenziale se si considera un impiego effettivo negli impianti idrici o nei sistemi di trattamento industriale.

I risultati, diffusi attraverso la rivista scientifica Advanced Materials, indicano che il trasferimento dalla fase sperimentale all’utilizzo concreto potrebbe essere più vicino di quanto si pensi. Ed è proprio qui che la scoperta acquisisce particolare rilevanza anche per l’Europa e per l’Italia, dove l’esigenza di risanare le risorse idriche contaminate diventa sempre più pressante.

Non solo catturare, ma eliminare i PFAS e recuperare il materiale

Esiste però un’altra questione fondamentale che frequentemente viene trascurata: come gestire i PFAS dopo averli estratti dall’acqua. I dispositivi convenzionali li isolano, ma poi producono scarti pericolosi da gestire. In questa circostanza, invece, i ricercatori hanno elaborato un procedimento che degrada termicamente i PFAS, neutralizzandoli senza emettere derivati tossici.

Il materiale, una volta “saturo”, viene sottoposto a riscaldamento insieme a carbonato di calcio. L’esito è notevole: una quota rilevante dei PFAS viene annientata e il materiale stesso si rigenera, pronto per un nuovo utilizzo. Le prime verifiche hanno confermato che può affrontare molteplici cicli successivi di cattura e distruzione, rendendo questo sistema uno dei primi esempi tangibili di economia circolare applicata al trattamento delle acque.

Secondo gli esperti, si tratta di una combinazione insolita: depurazione veloce e approccio sostenibile, due caratteristiche che difficilmente coesistono quando si affrontano inquinanti così tenaci.

Fonte: Advanced Materials