Nell’immensità del cosmo esistono luoghi dove la materia raggiunge densità inimmaginabili, sfidando ogni logica comune. Proprio in questi ambienti estremi, tra i residui di antiche esplosioni stellari, la fisica fondamentale potrebbe compiere una scoperta epocale. Una ricerca internazionale coordinata dall’Italia, pubblicata sulla prestigiosa rivista Physical Review Letters, propone che analizzando il processo di raffreddamento delle stelle di neutroni si potrebbe verificare l’esistenza di una quinta interazione fondamentale, aggiuntiva rispetto alle quattro già note.
Il Dipartimento di Fisica dell’Università di Bari ha contribuito attivamente a questa indagine. Il concetto chiave è apparentemente elementare: qualora nell’universo operasse un’interazione ancora ignota, per quanto debole, dovrebbe manifestarsi attraverso effetti rilevabili. Il processo di raffreddamento stellare rappresenta uno dei pochi fenomeni cosmici sufficientemente delicati da rivelare simili anomalie.
Natura e raffreddamento degli astri compatti
Questi corpi celesti ultradensi si formano dal collasso catastrofico di astri massivi. Quando una supernova esplode, ciò che rimane è un oggetto di dimensioni ridottissime rispetto alle scale astronomiche, ma con una densità straordinaria: un solo cucchiaino del suo materiale avrebbe una massa equivalente a miliardi di tonnellate. In simili condizioni estreme, i principi della fisica vengono testati ai loro limiti assoluti.
Ed è precisamente in questo contesto che il raffreddamento diventa cruciale. Nel corso dei millenni, questi astri compatti dissipano gradualmente la loro energia termica, raffreddandosi progressivamente. Tale meccanismo è determinato dalle modalità con cui le particelle subatomiche interagiscono nel nucleo stellare. Qualora esistessero particelle inedite, associate a una quinta interazione, l’astro disperderebbe calore più rapidamente di quanto previsto dai modelli standard.
Il team di ricerca, che riunisce esperti delle Università di Bari, Padova, Sydney e del laboratorio DESY di Zeuthen, ha elaborato modelli computazionali di questo scenario ipotetico: quali conseguenze avrebbe l’esistenza di una nuova interazione, veicolata da particelle mai osservate, all’interno di un astro di neutroni?
Analisi osservativa: dalle sette magnifiche alla pulsar solitaria
Per verificare la validità di queste ipotesi teoriche, gli studiosi hanno confrontato le simulazioni con osservazioni astronomiche concrete. Sono stati esaminati diversi astri compatti isolati, incluse le celebri “Magnifiche Sette” e la pulsar denominata PSR J0659, oggetti particolarmente adatti perché privi di interferenze da stelle compagne o fenomeni ambientali.
Le conclusioni sono significative. Se una quinta interazione fondamentale operasse tramite particelle scalari su scale infinitesimali, inferiori al micrometro, dovrebbe alterare sensibilmente la dinamica termica di questi corpi celesti. Tuttavia, spiegano gli autori, tali alterazioni non vengono rilevate nei dati osservativi.
Questo consente di stabilire vincoli estremamente rigorosi sull’eventuale presenza di una nuova forza: i limiti ottenuti risultano fino a un milione di volte più restrittivi rispetto a quelli raggiunti attraverso esperimenti condotti in laboratori terrestri. In sostanza, osservando il firmamento, stiamo già conducendo verifiche di fisica teorica più potenti di numerosi esperimenti sulla Terra.
Le conseguenze trascendono la mera speculazione accademica. Un’interazione supplementare potrebbe contribuire a decifrare il mistero della materia oscura, uno dei rompicapi più affascinanti dell’astrofisica contemporanea, e spalancare nuovi orizzonti teorici che contemplano dimensioni supplementari o particelle mai rivelate. Come sottolinea Alessandro Lella, ricercatore del Dipartimento Interuniversitario di Fisica dell’Università e del Politecnico di Bari, tra i firmatari della pubblicazione:
È sorprendente constatare come un’interazione operante su distanze inferiori allo spessore di un capello possa modificare l’evoluzione di alcuni tra gli oggetti più estremi del cosmo. Le osservazioni astronomiche, in questo contesto, emergono come lo strumento più potente per individuare questi segnali.
Sulla medesima lunghezza d’onda si esprime Alessandro Mirizzi, responsabile del gruppo barese:
L’astrofisica contemporanea non rappresenta più soltanto un supporto agli esperimenti di laboratorio. In numerose circostanze riesce a superarli, verificando le teorie fondamentali con una precisione straordinaria.
Fonte: Physical Review Letters
