Quando ho conosciuto la vettura elettrica modulare ARIA ho provato quella sensazione particolare che provi quando capisci che qualcosa di apparentemente complesso può essere incredibilmente semplice. Come quando realizzi che un dispositivo ostico si smonta con appena due viti. E ti chiedi perché nessuno l’abbia fatto prima.
Nel panorama della mobilità elettrica, che continua a espandersi ma resta costellato di incertezze – dal prezzo alle manutenzioni possibili solo presso centri specializzati – emerge questo prototipo sviluppato dagli studenti della TU/ecomotive. Una vettura che sembra nata da un laboratorio dove qualcuno ha stabilito che la facilità di riparazione non è un dettaglio secondario, ma il fondamento stesso del progetto.
Aria, la vettura elettrica componibile che risveglia lo spirito pratico
ARIA rappresenta molto più di un esperimento accademico: è una dichiarazione d’intenti. È come comunicare all’industria automobilistica: osservate, esiste un’alternativa. La parte interessante è che non ricorre a soluzioni sofisticate: applica il buonsenso. Ogni elemento è autonomo rispetto agli altri. Un componente si danneggia? Lo sostituisci. Una sezione si ammacca? La rimuovi in pochi istanti. L’accumulatore non è un corpo unico che richiede procedure complesse per essere estratto: è suddiviso in sei unità da dodici chilogrammi ciascuna, un peso gestibile senza necessitare di forza particolare.
È una filosofia che affascina chiunque abbia trascorso almeno un pomeriggio cercando di aprire un prodotto sigillato industrialmente. Mio padre, che adora smontare qualsiasi oggetto per comprenderne il meccanismo, davanti ad ARIA probabilmente si emozionerebbe. Perché l’idea centrale è limpida: una vettura deve essere un’alleata, non un oggetto inaccessibile.
Il team di studenti lo ha illustrato con una semplicità disarmante. Le vetture elettriche contemporanee sono diventate quasi inaccessibili: programmi informatici che impediscono interventi, accumulatori integrati nella scocca, componenti di ricambio disponibili esclusivamente attraverso canali ufficiali. Frequentemente un danno minimo compromette l’intero veicolo. Con ARIA, al contrario, la prospettiva cambia radicalmente. E ogni elemento è progettato per garantire longevità, riducendo gli sprechi che conosciamo troppo bene.
Mi ha impressionato la naturalezza con cui il gruppo parla del diritto alla riparazione, come se fosse un principio scontato. In verità, per gli utenti non lo è per niente. E il sostegno di Right to Repair Europe a questo progetto evidenzia quanto sia necessario un approccio di questo tipo.
Osservandola nella sua struttura compatta, con quel design che non ha nulla di aggressivo, si comprende perché qualcuno la definisca la citycar affidabile. Non aspira a rimpiazzare le grandi berline elettriche, non fa dichiarazioni ambiziose. Si limita a proporci un’opzione concreta. E, sinceramente, dopo anni di prodotti progettati per resistere più alla curiosità del proprietario che all’usura, questa mentalità appare quasi rivoluzionaria.
Non posso sapere se ARIA diventerà realtà sulle nostre strade, ma il concetto che la ispira è già un’idea seminata nel terreno giusto. Una vettura elettrica componibile che consente di intervenire autonomamente su ciò che necessita riparazione è più di un prototipo: è uno stimolo a riconsiderare il futuro. A scomporlo, nel senso letterale, per comprenderlo meglio.
Fonte: tuecomotive
