Nelle prossime ore, precisamente tra l’11 e il 12 novembre 2025, il nostro pianeta sarà raggiunto da due massicce emissioni di massa coronale, eventi solari che lanciano verso lo spazio enormi quantità di particelle cariche e campi magnetici. Secondo le proiezioni dell’agenzia meteorologica statunitense NOAA, questi due flussi energetici sono destinati a fondersi poco prima dell’arrivo sul nostro mondo, creando quello che gli esperti chiamano una “tempesta cannibale”, ossia un’unica grande onda d’urto capace di provocare disturbi geomagnetici di notevole portata.
Le previsioni attuali indicano una perturbazione geomagnetica di categoria G3, classificata come robusta, ma l’unione dei due flussi potrebbe amplificare l’evento fino a raggiungere il livello G4, considerato severo. Quando si verificano condizioni simili, le luci polari possono spingersi ben oltre le zone artiche, raggiungendo persino le latitudini mediterranee. Gli scienziati ritengono che il momento della fusione possa coincidere con l’arrivo sulla magnetosfera terrestre. Tuttavia, essendo una stima derivata da simulazioni, esiste la possibilità che l’unione avvenga immediatamente dopo il transito del pianeta, mantenendo comunque conseguenze rilevanti sull’equilibrio magnetico del nostro globo.
Quali pericoli comporta un evento solare di questa portata
Le perturbazioni geomagnetiche intense possono generare conseguenze concrete: anomalie nelle infrastrutture elettriche, problemi ai sistemi di navigazione satellitare, disturbi nelle comunicazioni radio e danni ai dispositivi orbitali. Eventi storici come la celebre tempesta del 1859 nota come evento Carrington hanno dimostrato quanto simili fenomeni possano influenzare le tecnologie umane. Oggi, in un’epoca dominata dalla connettività digitale, anche un’interruzione temporanea dei servizi o un collasso energetico su vasta scala potrebbe avere ripercussioni drammatiche.
Come si forma una tempesta cannibale e perché rappresenta un rischio maggiore
Le emissioni in questione hanno origine da esplosioni solari di categoria X, le più violente mai registrate, prodotte dalla regione attiva AR 4274, una delle più turbolente degli ultimi tempi. La prima eruzione, classificata X 1.8, è stata rilevata il 9 novembre alle 07:33, seguita da una seconda di intensità X 1.2 registrata alle 10:22 del giorno successivo. La diversa velocità di spostamento dei due flussi determina la loro inevitabile collisione: quando l’emissione più rapida raggiunge quella precedente, più lenta, si genera una fusione tra le due onde di plasma.
L’agenzia spaziale americana chiarisce che questo tipo di evento può dare vita a strutture magnetiche estremamente complesse, con dimensioni superiori rispetto alle normali emissioni solari. Queste formazioni, una volta giunte in prossimità del nostro pianeta, amplificano sia la durata che l’intensità delle perturbazioni magnetiche, con manifestazioni che possono protrarsi per diversi giorni. Secondo la NOAA, il momento di massima criticità è previsto tra l’11 e il 12 novembre, con effetti residui che potrebbero estendersi fino al 13 novembre (categoria G1, minore).
Dove e quando ammirare le luci polari sul territorio italiano
Le manifestazioni luminose aurorali si producono quando le particelle elettricamente cariche trasportate dal flusso solare interagiscono con gli elementi di ossigeno e azoto negli strati superiori dell’atmosfera, creando affascinanti giochi di luce multicolore. Secondo i calcoli della NOAA, il momento di massima intensità magnetica dovrebbe manifestarsi intorno alle 04:00 del mattino del 12 novembre (fuso orario italiano), con un indice Kp che potrebbe toccare o superare quota 7 su un massimo di 9. Superata questa soglia, le aurore diventano potenzialmente osservabili anche dalle nostre latitudini, come già documentato durante gli episodi del 2024 e nei primi mesi del 2025.
Le maggiori possibilità di assistere allo spettacolo si concentreranno nelle aree settentrionali della penisola, in particolare Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Piemonte, anche se in presenza di cieli tersi e assenza di inquinamento luminoso non si può escludere la visibilità anche in zone più meridionali.
Fonte: NOAA
