Graffito precostantiniano sotto San Pietro racconta la fede nascente

San Pietro Bernini

Nelle profondità della Basilica di San Pietro, proprio sotto l’imponente altare maggiore e protetto dalla maestosità artistica del Baldacchino berniniano, torna a far parlare di sé un antico graffito evangelico databile tra il termine del III secolo e l’avvio del IV. Non si tratta di una scoperta dell’ultima ora, ma di un ritrovamento che riacquista interesse grazie a un volume riportato alla luce dopo lunghi anni di oblio, affidato negli anni Novanta all’unico testimone sopravvissuto: il religioso iberico don Alfredo Fernández Martin.

L’opera non è più accessibile alla vista da tempo. Consisteva in incisioni tracciate sull’intonaco di una tomba pagana, situata nella grande area sepolcrale che si sviluppa sotto il pavimento della chiesa vaticana. A circa ventidue metri dalla presunta sepoltura dell’apostolo Pietro, i segni delineavano i profili delle teste di Gesù e di Pietro, affiancati da quattro termini greci dal peso dottrinale straordinario: catabasis, anabasis, anastasis e dexiost(a)sis, traducibili come discesa nell’aldilà, salita al cielo, risurrezione e “siede alla destra del Padre”. Una sintesi sorprendentemente antica della confessione cristiana.

L’epigrafista che rivoluzionò lo studio delle tombe vaticane

Il ritrovamento si deve all’opera straordinaria di Margherita Guarducci, vissuta dal 1902 al 1999, studiosa di epigrafia riconosciuta come figura centrale nella disciplina, sebbene non sempre apprezzata durante la sua esistenza. A soli ventinove anni era già titolare di cattedra presso l’Università La Sapienza, impegnata in scavi a Creta, responsabile della Scuola nazionale di archeologia e accolta tra i Lincei dal 1956: un percorso professionale di rilievo assoluto.

Durante gli anni Cinquanta fu anche artefice dell’identificazione dei resti ossei attribuiti all’apostolo Pietro, scoperta che indusse Paolo VI, nel giugno 1968, ad annunciare pubblicamente di aver ottenuto “i pochi, ma sacrosanti resti mortali dell’Apostolo”.

Il testo in cui l’archeologa documentava l’esistenza del graffito, Cristo e san Pietro in documento precostantiniano della necropoli vaticana, venne pubblicato nel 1953 dall’Istituto Poligrafico dello Stato. Rimase tuttavia pressoché ignorato, fino a quando don Alfredo Fernández Martin, parroco romano da cinquant’anni, non ha rivelato di averlo ricevuto personalmente dall’autrice. Oggi, con il rinnovato dibattito sul Credo niceno e sul cristianesimo primitivo, il sacerdote ritiene necessario farlo riemergere.

Il momento non è casuale: tra il 27 novembre e il 2 dicembre Papa Leone XIV sarà in Turchia e Libano per commemorare il 1700° anniversario del Concilio di Nicea (325-2025), che stabilì la forma definitiva della preghiera del Credo. Una circostanza che conferisce nuova rilevanza al documento interpretato dalla Guarducci.

Il simbolo del Cristo-Fenice e i quattro termini che preannunciano il Credo

L’archeologa descrisse allora la scena con accuratezza notevole. Nella nicchia centrale compariva una testa di Gesù, e al di sopra una figura misteriosa formata da due volatili con corpo unico. Secondo l’interpretazione della studiosa, quella creatura unificata rappresentava la fenice, emblema della rinascita dopo la morte. Per la Guarducci, l’autore aveva voluto raffigurare l’istante inesprimibile della rigenerazione: un Cristo-Fenice, simbolo potente del Risorto chiamato a esistere eternamente.

Dalla medesima testa si diramavano i quattro vocaboli greci, disposti come un ventaglio dottrinale e, secondo la studiosa, collegati “in modo diretto con gli insegnamenti della Chiesa primitiva”. Un frammento, sostenne, che anticipa elementi fondamentali del Credo diversi decenni prima del Concilio.

Molti anni dopo le sue scoperte, la figura della Guarducci è stata finalmente riconosciuta. Il recente volume di Tiziana Lupi, La tomba di san Pietro. La storia dimenticata di Margherita Guarducci (Minerva, 2025), ha riportato in primo piano il contributo decisivo dell’archeologa, ottenendo anche il Premio Rapallo nella categoria “Costume e saggistica”.

Un riconoscimento che giunge tardivo, ma che evidenzia la portata delle sue ricerche: non solo la ricostruzione della necropoli vaticana e dei primi secoli cristiani, ma anche la capacità di individuare, in una semplice incisione, il cuore pulsante della fede cristiana.

Fonte: Margherita Guarducci