L’intelligenza artificiale si comporta come un ospite brillante ma ingombrante: offre soluzioni straordinarie, ma lascia tracce energetiche impossibili da trascurare. Se da una parte si rivela uno strumento fondamentale per contrastare il riscaldamento globale, migliorando l’efficienza delle reti energetiche e riducendo gli sprechi produttivi, dall’altra il suo appetito elettrico cresce con una velocità allarmante.
L’Agenzia Internazionale dell’Energia ha lanciato l’allarme: il fabbisogno elettrico mondiale dei centri di elaborazione dati è destinato a duplicarsi nell’arco di quattro anni, saltando dai 460 TWh registrati nel 2022 a oltre 1.000 TWh previsti per il 2026. Questa impennata è alimentata principalmente dall’espansione dell’IA e dall’aumento esponenziale delle operazioni gestite dai sistemi di apprendimento automatico e dai modelli linguistici generativi.
Ogni singola interrogazione rivolta a piattaforme come GPT o Gemini comporta un dispendio energetico tangibile: circa 0,43 Wh per ogni richiesta, paragonabile all’energia necessaria per tenere accesa una lampada LED per quasi sessanta secondi. Quando le domande diventano più articolate e impegnative, il consumo può schizzare tra 2 e 4 Wh.
Numeri che invitano alla riflessione: anche l’universo digitale, spesso considerato privo di peso fisico, si appoggia su strutture concrete che divorano quantità enormi di corrente elettrica e risorse idriche destinate al raffreddamento.
Centri dati e IA: nel Belpaese il fabbisogno elettrico è salito del 50% in quattro anni
Osservando lo scenario nazionale, la situazione non migliora.
Secondo le rilevazioni di Confartigianato, dal 2019 al 2023 il fabbisogno energetico collegato ai servizi digitali e alle infrastrutture di calcolo è cresciuto del 50%, con un balzo straordinario del 144% nei consumi delle strutture dedicate all’elaborazione dei dati.
Solo nell’anno 2023, il consumo complessivo ha toccato quota 509,7 GWh di elettricità, con Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna e Piemonte che insieme coprono l’85% del totale nazionale.
Contemporaneamente, le emissioni indirette classificate come Scope 3 dei colossi tecnologici sono letteralmente esplose: nel periodo 2020-2023, Microsoft, Amazon e Meta hanno registrato un’impennata media del 150%.
Google ha segnato un +48% rispetto al 2019, mentre Microsoft ha visto un incremento del +29% considerando l’intero bilancio emissivo (Scope 1–3).
In sintesi, il progresso digitale avanza più rapidamente della nostra capacità di renderlo ecologicamente sostenibile.
Quali strategie per un’intelligenza artificiale eco-compatibile?
La soluzione per contenere l’impatto ecologico dell’IA non consiste nel frenare l’innovazione tecnologica, ma nel quantificarla e amministrarla con criterio. Le emissioni connesse all’intelligenza artificiale ricadono attualmente nello Scope 3 (emissioni indirette derivanti dall’uso di servizi digitali) per le organizzazioni che ne fanno uso, e negli Scope 1 e 2 per chi opera infrastrutture o sviluppa modelli proprietari.
Per tale ragione, le imprese devono adottare sistemi di contabilizzazione carbonica digitale, in grado di calcolare con esattezza l’impronta energetica delle loro applicazioni di IA. Soltanto comprendendo “dove e quanto si produce CO2” diventa possibile elaborare piani di riduzione e compensazione realmente efficaci, coerenti con i criteri ESG.
Come evidenzia Edoardo Bertin, Head of Business Development & Growth di ClimateSeed – startup specializzata nell’accompagnamento aziendale verso la decarbonizzazione –
L’IA può trasformarsi in un partner della rivoluzione ecologica solo se amministrata con trasparenza e responsabilità. È fondamentale quantificare e monitorare l’impatto delle infrastrutture digitali affinché l’innovazione acceleri, anziché ostacolare, il raggiungimento degli obiettivi climatici.
La sfida autentica consisterà dunque nel bilanciare progresso tecnologico e rispetto ambientale, edificando una trasformazione digitale consapevole, capace di abbattere i consumi, valorizzare le risorse disponibili e onorare gli impegni climatici assunti.
Dopotutto, l’intelligenza artificiale non rappresenta il nemico: è il modo in cui decidiamo di nutrirla a fare la differenza.
Fonte: ClimateSeed
