L’epidemia che colpì l’Europa verso la metà del XIV secolo rappresentò una catastrofe senza eguali nella storia dell’umanità. Nel giro di pochi anni, la peste nera sterminò milioni di persone, modificando radicalmente la struttura demografica e sociale del continente.
Sappiamo da tempo che l’agente patogeno responsabile fu il batterio Yersinia pestis, veicolato attraverso le pulci dei roditori. Tuttavia, gli esperti si interrogano ancora sulle condizioni che favorirono una propagazione così rapida e devastante, e sul perché l’epidemia esplose proprio in quel particolare periodo storico.
Il legame tra fenomeni vulcanici e diffusione della malattia
Una ricerca recente apparsa su Communications Earth & Environment suggerisce un’ipotesi innovativa: le attività vulcaniche del periodo medievale potrebbero aver contribuito in modo significativo all’espansione della peste nera attraverso le loro ripercussioni sul clima.
Gli scienziati ipotizzano che diverse eruzioni caratterizzate da elevate emissioni di zolfo abbiano rilasciato nell’atmosfera massicce quantità di particelle e aerosol, creando uno schermo alla radiazione solare. Questo fenomeno provocò un abbassamento anomalo delle temperature durante le stagioni estive del 1345 e 1346. Sebbene raro, tale evento climatico fu sufficiente a compromettere gravemente l’agricoltura mediterranea.
Le estati particolarmente fredde danneggiarono i raccolti su vasta scala, costringendo le grandi repubbliche marinare italiane a ristabilire, per necessità estrema, i collegamenti commerciali con il Mar Nero, proprio quando l’infezione era già presente in quelle zone.
La studiosa Hannah Barker dell’Arizona State University, estranea alla ricerca, ha dichiarato:
Rappresenta un elemento mancante del quadro generale. L’influenza climatica sulla peste nera non era mai stata esaminata con tale precisione.
Prove da alberi secolari, ghiacci antichi e documenti storici
Per delineare il contesto climatico trecentesco, gli studiosi hanno combinato evidenze naturali con testimonianze d’epoca. Ulf Büntgen, esperto di dendrocronologia dell’Università di Cambridge e coautore dello studio, ha identificato negli anelli di crescita degli alberi pirenaici un chiaro indicatore: nelle estati 1345 e 1346 lo sviluppo vegetale risultò rallentato da temperature anormalmente fredde.
La medesima anomalia climatica è stata rilevata in altri otto archivi dendrocronologici europei. Contemporaneamente, i campioni di ghiaccio prelevati in Groenlandia e Antartide hanno mostrato concentrazioni elevate di zolfo negli stessi anni, traccia caratteristica delle grandi eruzioni che proiettano materiale riflettente nella stratosfera, come ha precisato Büntgen:
Non parliamo di gelo intenso, ma di un raffreddamento prolungato per due estati consecutive. È esattamente ciò che prevediamo dopo una serie di eruzioni vulcaniche ricche di zolfo.
I documenti dell’epoca avvalorano questa ricostruzione. Resoconti provenienti dall’Asia orientale fino all’Europa occidentale descrivono cieli perennemente oscurati tra il 1345 e il 1347. In Italia, la produzione agricola crollò e il costo del grano raggiunse picchi mai registrati negli ottant’anni precedenti. All’inizio del 1347, con le riserve alimentari praticamente esaurite, scoppiano disordini nelle principali città-stato, come ha notato Barker:
Le fonti documentano chiaramente l’allarme delle autorità, alle prese con soluzioni d’emergenza.
Venezia e Genova, dominatrici dei traffici marittimi, possedevano sistemi di rifornimento sofisticati e depositi strategici. Tuttavia, dal 1343 erano impegnate in uno scontro con l’Impero Mongolo che aveva bloccato l’accesso ai cruciali mercati cerealicoli del Mar Nero.
Dalla crisi alimentare al ripristino dei commerci
Il deterioramento climatico nel bacino mediterraneo rese la situazione critica. Anche territori come Sicilia, Spagna e Nord Africa subirono cali produttivi significativi. Le potenze marinare italiane si ritrovarono senza opzioni praticabili.
Nel 1347, incalzate dalla carestia, Venezia e Genova furono obbligate a concludere un accordo di pace con i Mongoli, ripristinando i collegamenti marittimi verso il Mar Nero, come ha illustrato lo storico Martin Bauch, coautore della ricerca. In breve tempo, le imbarcazioni cariche di cereali ricominciarono a partire dai porti della Crimea e dell’odierna Ucraina.
Secondo gli studiosi, insieme al carico di grano viaggiava anche qualcosa di estremamente pericoloso. Da tempo, infatti, l’infezione affliggeva le truppe mongole nella regione. Le pulci portatrici di Yersinia pestis, verosimilmente nascoste tra i sacchi di cereali, trovarono così un mezzo di trasporto ideale.
Una volta sbarcati i carichi nei porti italiani, il passaggio dai magazzini ai topi locali e, successivamente, agli esseri umani fu rapidissimo. Non sorprende che le prime zone colpite furono proprio quelle maggiormente dipendenti dalle importazioni cerealicole, come Venezia e Genova. Le città dell’interno, più autosufficienti dal punto di vista agricolo, come Roma e Milano, furono raggiunte dall’epidemia solo in seguito, come evidenziato da Büntgen:
Si tratta di una delle prime manifestazioni degli effetti della globalizzazione. Il commercio accelera la diffusione.
Per lo storico dell’epidemiologia Timothy Newfield, questa indagine dimostra quanto la peste nera sia stata il prodotto di una convergenza straordinaria di elementi. Il patogeno doveva già circolare nell’area del Mar Nero. Il raffreddamento climatico, innescato dalle eruzioni vulcaniche, doveva essere sufficientemente intenso e prolungato da compromettere le coltivazioni.
Le città italiane dovevano riaprire i traffici commerciali esattamente nel momento più sfavorevole. Infine, la logistica navale doveva svolgere la sua funzione con massima efficienza: trasportare velocemente grandi volumi di merci. Il risultato fu una sequenza di eventi mortale: riduzione della radiazione solare, terreni improduttivi, crisi dei mercati cerealicoli e navi che riportarono l’infezione nel cuore dell’Europa.
Gli esperti sottolineano che il mutamento climatico provocato dalle eruzioni non causò direttamente la peste nera. Piuttosto, innescò una catena di reazioni che condusse alla pandemia più devastante della storia umana. La lezione, tuttavia, rimane straordinariamente attuale. I sistemi alimentari, sanitari ed economici sono profondamente interconnessi. Una perturbazione in un settore può diffondersi rapidamente agli altri, trasformando un rischio locale in una catastrofe su scala continentale.
