I motori dell'Apollo 11 sono stati ripescati dai fondali dell'Oceano Atlantico da Jeff Bezos, Ceo di Amazon, che dopo averli scoperti circa un anno fa, è riuscito nell'impresa di recuperarli. Un pezzo di storia dell'esplorazione spaziale tornato a galla e pronto per essere esposto nei musei.
Perché i motori della navicella erano in fondo all'oceano? Dopo che il razzo Saturn V diede alla navicella con a bordo Armstrong, Aldrin e Collins la spinta per volare fuori dall'atmosfera terrestre, nel 1969, i cinque motori F-1 compiuta la loro missione rimasero accesi per pochi minuti prima di separarsi definitivamente dal modulo e inabissarsi.
L'oceano sarebbe stato la loro tomba. Ma lo scorso anno Jeff Bezos attraverso un complesso sistema di sonar è riuscito ad individuarli, offrendosi di recuperarli attraverso capitali privati. I motori sono rimasti nell'Atlantico quasi 44 anni, fino al 20 marzo 2013, data del recupero da parte della Bezos Expeditions. Ecco il video:
Gli enormi motori che hanno lanciato gli astronauti sulla Luna più sono adesso sulla terraferma. Una “incredibile avventura”, quella di Bezos e del suo team a bordo del Seabed Worker, durata tre settimane, lavorando 3 chilometri sotto la superficie del mare: “Abbiamo trovato così tanto. Abbiamo visto un paese delle meraviglie subacqueo” racconta. “Abbiamo fotografato molti oggetti affascinanti in situ e abbiamo recuperato molti pezzi principali. Ogni pezzo che portiamo sul ponte evoca per me le migliaia di ingegneri che hanno lavorato insieme per fare quello che per tutto il tempo era stato considerato impossibile”.
Che cosa hanno visto, utilizzando i Remotely Operated Vehicles (ROV)? Un mucchio aggrovigliato di componenti del motore F-1 sparsi sui fondali dell'oceano ad una profondità di circa 4.270 m.
Secondo quanto riferito da Bezos presto il restauro potrà stabilizzare le componenti hardware e prevenire l'ulteriore corrosione: “Vogliamo che l'hardware possa raccontare la vera storia, tra cui le 5.000 miglia all'ora toccate durante il rientro e il conseguente impatto con la superficie dell'oceano”.
Francesca Mancuso
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