Syn 3.0 vive con soli 476 geni e può anche riprodursi. Parliamo della prima cellula, perfettamente in salute, creata in laboratorio. L’opera è di Craig Venter, lo stesso che riuscì a sequenziare il genoma umano battendo sul tempo il consorzio pubblico dello Human Genome Project.
La storia parte qualche anno fa. Venter, nel 2010, aveva infatti annunciato la creazione della prima forma di vita artificiale, il Mycoplasma laboratorium, un batterio composto da una sola cellula. Era uno degli organismi più piccoli della natura ed era in grado di riprodursi. Tuttavia non si poteva ancora chiamare ‘batterio sintetico’ poichè la membrana, fondamentale per l’interazione con l’ambiente, non lo rendeva ancora autosufficiente.
Comunque una grande notizia e un passo enorme per la scienza che ha contribuito al traguardo annunciato in questi giorni: Syn 3.0 si può considerare la ‘cellula minima’, frutto della “riduzione ai minimi termini” operata su Syn 1.0, che contava 901 geni. In particolare, il ricercatore e il suo team hanno diviso il genoma iniziale in diversi “tratti”, testando la vitalità di questi pezzi di Dna, ovvero verificando volta per volta se questi erano sufficienti per la vita in ogni sua funzione.
Lavoro certosino e molto lungo, che ha portato prima a Syn 2.0, organismo sintetico intermedio, e poi a Syn 3.0, con 476 geni sufficienti a dare la vita. Tuttavia 149 di questi, circa il 30 per cento, hanno tuttora funzione sconosciuta. Forse si può dunque scendere ancora? Attualmente è una domanda alla quale non si può rispondere.
Infatti Venter e il suo team mirano a determinare il set minimo di geni necessari individuando quelli di Syn 1.0 effettivamente non necessari e hanno tentato finora diverse strade.
“La grande novità è che abbiamo fallito – ha però commentato il ricercatore– […] È chiaro che la nostra attuale conoscenza della biologia non è sufficiente per sedersi, progettare un organismo vivente e poi costruirlo”
Una conclusione umile ma non deludente. I passi compiuti sono infatti enormi e fanno sperare, al di là della costruzione della vita, ad una conoscenza sempre più profonda dei meccanismi della biologia e della biochimica, con l’obiettivo, forse, di intervenire su patologie di tipo genetico attualmente prive di terapia.
Il lavoro è stato pubblicato su Science.
Roberta De Carolis
Foto: Science
Credits: Mark Ellisman/National Center for Imagina and Microscopy Research
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