
Cosa succederebbe se l’organismo atto a controllare l’igienicità e la qualità dei prodotti alimentari favorisse, per la produzione e la conservazione dei cibi, l’uso di sostanze chimiche dannose per gli uomini? Avremmo un mondo dove le malattie la farebbero da padrone. Uno scenario apocalittico, che spero resti nell’immaginazione di un qualsiasi regista per la trama di un film.

Recenti ricerche scientifiche sulla marijuana, realizzate soprattutto in America, stanno a poco a poco rendendo possibile il superamento di un atteggiamento di totale condanna nei confronti di questa pianta, facendo strada ad un approccio più razionale che prende in considerazione le sue proprietà terapeutiche.
Sebbene il possesso e l’uso della canapa siano ritenuti illegali nella maggior parte dei paesi del mondo, compresa l’Italia, sono ormai decine di migliaia le persone che in Europa, negli Stati Uniti, in Canada, la usano per le sue caratteristiche terapeutiche. Si tratta in prevalenza di malati di Aids, di sclerosi multipla, di cancro che cercano sollievo nella marijuana.

Arriva dal lavoro d’equipe dei ricercatori del dipartimento di Medicina sperimentale dell’Università La Sapienza di Roma, la scoperta di una nuova cura per contrastare il medulloblastoma, il tipico tumore al cervello che colpisce in età infantile.
I ricercatori, guidati dal professore Alberto Gulino, direttore del laboratorio di Oncologia molecolare de La Sapienza, dove è stato effettuato lo studio, avrebbero individuato nell’aumento della molecola Gli1 la causa scatenante della malattia.

Sulla demenza di Alzhaimer esistono diverse scuole di pensiero. Tra gli studiosi del disturbo c’è addirittura chi nega l’esistenza di una vera e propria patologia e considera la demenza senile una ovvia degenerazione delle funzioni cognitive del cervello, così come avviene spesso anche per le altre parti dell’organismo, soprattutto con l’avanzare dell’età.
Ad allarmare però, restano i numeri. Sono venti milioni le persone nel mondo colpite dal morbo e, solo in Italia, si stimano circa 500mila malati. Di fronte a questi dati la ricerca non resta indifferente: è infatti recentissima la scoperta di un nuovo metodo, per nulla invasivo, in grado di diagnosticare la presenza del disturbo.