Fino ad oggi disturbi come la depressione potevano essere diagnosticati esclusivamente attraverso una serie di accurati test psicologici, sostanzialmente una serie di questionari tesi a identificare i sintomi più frequenti della malattia. Di fatto, nessuna prova empirica. Ma un recente studio pubblicato sul The Atlantic e tratto dal Molecular Psychiatry dimostra invece che è possibile effettuare una diagnosi veritiera anche attraverso alcune mirate analisi del sangue: una scoperta che potrebbe rivoluzionare non solo l’identificazione del disturbo, ma anche la visione e la comprensione della malattia da parte dei pazienti stessi.
Lo studio ha coinvolto 36 soggetti affetti da seria depressione come anche 43 persone perfettamente sane, il cui sangue è stato utilizzato in pratica come termine di paragone. I ricercatori hanno allora analizzato, nello specifico, i livelli di nove biomarcatori comunemente associati con la sindrome depressiva, come ad esempio lo stato di sviluppo e mantenimento dei neuroni o le strutture cerebrali coinvolte negli stati di particolare stress.
La depressione è stata individuata in 33 dei 36 casi esaminati dai ricercatori, e sono anche risultati otto falsi positivi nel gruppo di controllo (i 43 soggetti sani). Per maggiore certezza clinica, il test è stato ripetuto una seconda volta, con risultati molto simili: a 31 soggetti su 36 è stata di nuovo diagnosticata con successo la sindrome depressiva.
L’obiettivo dei ricercatori è ora quello di sviluppare l’esame su larga scala, vale a dire su un campione ben più ampio di soggetti analizzati su terreno prettamente clinico piuttosto che psichico.
Quel che è certo, è che una prova empirica della presenza di un disturbo depressivo modifica di gran lunga l’idea che normalmente se ne ha, come ben spiega John Bilello, co-autore dello studio: “Una base biologica di questo test può aiutare i pazienti a percepire la depressione come una malattia curabile, piuttosto che una fonte di insicurezza che dipende da loro stessi.”
Viene quindi da chiedersi se magari lo stesso discorso non valga per altri tipi di disturbi psichici. Per ora si attendono i risvolti di questo primo approccio per confermate o confutare la natura biologica di un disturbo che affligge milioni e milioni di persone al mondo.
Annalisa Di Branco