Non solo oceani. La più grande riserva d’acqua del nostro pianeta è nei minerali. Un gruppo di ricerca guidato da Brandon Schmandt, dell’Università del Nuovo Messico, e Steven Jacobsen, della Northwestern University (Usa), ha scoperto una gigantesca riserva d’acqua intrappolata nel minerale chiamato ringwoodite, che potrebbe essere la più grande del pianeta.
Uno studio canadese aveva già dimostrato che questo minerale era in grado di intrappolare acqua e il ritrovamento di un frammento avvenuto nel 2008 nell’area di Juina, in Brasile, aveva fatto supporre che la ringwoodite fosse presente in grosse quantità ad alte pressioni nella zona di transizione, lo strato compreso tra il mantello superiore e quello superiore della Terra, tra 410 e 660 km sotto la crosta.
L’analisi condotta successivamente sulla porzione estratta aveva dimostrato infatti che questa conteneva una quantità significativa d’acqua, pari all’1,5 per cento del suo peso. Il dato a sua volta confermava precedenti teorie, mai verificate prima, secondo le quali ci sono vaste quantità di acqua intrappolate nella zona di transizione.
Quest'ultima scoperta si profila dunque come un'altra dimostrazione delle teorie sull'acqua nelle profondità del nostro pianeta. Lo studio ha combinato gli esperimenti di laboratorio di Jacobsen, nei quali le rocce del mantello sono state sottoposte alle pressioni simili a quelle presenti a 400 miglia sotto la superficie terrestre, con le osservazioni del Schmandt, che ha utilizzato grandi quantità di dati sismici provenienti dall'USArray, una fitta rete di oltre 2 mila sismometri che attraversano gli Usa.
Le ricerche, condotte in parallelo, convergevano nel dimostrare che può verificarsi fusione a circa 400 miglia di profondità sotto terra. E secondo gli scienziati la chiave che spiega questo fenomeno, che non dovrebbe avvenire a questa distanza dalla superficie, è proprio l'acqua nelle rocce del mantello, come quelle contenenti il minerale ringwoodite.
"La fusione della roccia a queste profondità è notevole perché normalmente si verifica in una zona molto meno profonda, superiore a 50 miglia - ha spiegato infatti Schmandt – Ma se c'è una notevole quantità di acqua nella zona di transizione, allora qualche evento di fusione dovrebbe avvenire in aree dove c'è flusso nel mantello inferiore, il che è coerente con quello che abbiamo trovato".
Inoltre, se solo l'1 per cento del peso del manto di roccia che si trova nella zona di transizione fosse acqua, questa sarebbe pari a quasi tre volte quella dei nostri oceani, hanno specificato i ricercatori. Chiaramente non è acqua liquida, subito disponibile, e nemmeno vapore o ghiaccio, ma una quarta forma intrappolata all'interno della struttura molecolare dei minerali nella roccia mantello.
"Se questo esemplare unico è rappresentativo della composizione dell'interno della Terra non è però dimostrato – ha precisato Jacobsen - Ora abbiamo trovato prove di una vasta fusione sotto il Nord America alle stesse profondità corrispondenti alla disidratazione della ringwoodite, che è esattamente ciò che è accaduto nei miei esperimenti".
Il puzzle dunque sembra completarsi. Ma siamo ancora in attesa della prova schiacciante.
Il lavoro è stato pubblicato su Science.
Roberta De Carolis
Foto: Science Daily
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