I biocarburanti del futuro: prodotti in acqua bollente

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I biocarburanti potrebbero essere prodotti presto in acqua bollente, grazie ad un enzima presente in un microorganismo termofilo, ovvero che è in grado di sopravvivere ad alte temperature. La scoperta, che semplificherebbe molto la produzione di queste importanti forme di energia “green”, è dovuta ad un gruppo di ricerca dell’Università della California e del Maryland (Usa). Il lavoro è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Nature Communications.

L’attuale processo di produzione dei biocarburanti procede in due fasi: nella prima la cellulosa, polimero da cui si ottengono gli zuccheri più semplici necessari al carburante, viene estratta dalla lignina, materiale presente nei vegetali, mentre nella seconda il polimero viene attaccato dalle cellulasi, enzimi in grado di tagliare selettivamente in più punti la macromolecola. Le cellulasi finora conosciute, tuttavia, sono presenti in microbi che non riescono a sopravvivere alla prima fase, dove è necessaria un’alta temperatura. Per questo la produzione deve necessariamente essere fatta in due step.

La scoperta di microorganismi termofili contenenti analoghi enzimi è di grande importanza proprio perché semplificherebbe molto tutta la catena produttiva, consentendo di ottenere i biocarburanti in un solo step. L’enzima appena scoperto riesce a funzionare intorno ai 108°C, quindi ad una temperatura sensibilmente più alta di quella di ebollizione dell’acqua, e finora è la più alta conosciuta alla quale un enzima è completamente attivo. Normalmente infatti l’alta temperatura disattiva queste molecole, perché ne altera irreversibilmente la struttura; non solo: queste estreme condizioni impediscono la sopravvivenza stessa degli organismi dove sono contenute.

Il microorganismo scoperto dagli studiosi appartiene al gruppo degli Archaea ed è il microbo che sopravvive alle temperature più alte di tutto il ceppo a cui appartiene. “Noi stessi ci siamo sorpresi nel trovare proprio questo microbo nel nostro primo campione”, afferma Douglas S. Clark coautore del lavoro.

Il nostro scopo è che questo esempio, così come esempi provenienti da altri organismi trovati in condizioni estreme come l’alta temperatura, ma anche pH molto basico o molto acido, o alta concentrazione di sali, possano fornire cellulasi che mostrino funzionalità adatte alle tipici requisiti ambientali richiesti dalle applicazioni industriali” continua Clark.

Il prossimo passo sarà dunque la ricerca di altre cellulasi di questo tipo, nella speranza che altri gruppi di lavoro si impegnino nel trovare enzimi industrialmente importanti che possano lavorare in condizioni estreme.

Roberta De Carolis

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