I cacciatori di fossili, spesso, confessano di essersi affidati anche all’intuito per le loro ricerche più fruttuose. In questo come in numerosi altri contesti, l’esperienza pare rivestire un ruolo particolarmente rilevante. Si tratta di tutti quei contesti in cui risulta difficile codificare e classificare le informazioni di interesse, il che rende il processo difficilmente automatizzabile.
Questi fattori conducono a una difficoltà nell’impiego degli strumenti di calcolo a elevata tecnologia di cui la scienza dispone ormai in moltissimi ambiti, con conseguente rallentamento del processo di ricerca. Si comprende dunque come parte degli sforzi degli scienziati siano orientati a offrire, sia pure in forme diverse, un maggiore supporto tecnologico anche a quelle aree del sapere con cui, da questo punto di vista, è più difficile interfacciarsi.
Molto spesso, a risolvere o perlomeno semplificare i problemi che ci si trova ad affrontare a questo proposito, interviene il concetto di rete. Sempre più, col passare del tempo, emergono le potenzialità computazionali e non solo di sistemi non centralizzati, ma distribuiti. Basti pensare a un esempio clamoroso come Wikipedia, che rappresenta un tentativo di rappresentazione in forma distribuita della conoscenza, oggi dominante rispetto alle enciclopedie tradizionali.
Anche il gruppo di scienziati guidato da Conroy, Anemone e Emerson si ispira a un comportamento distribuito e collaborativo. A collaborare sono diversi computer, che confluiscono, con le loro diverse e potenti capacità di calcolo, verso uno scopo comune, guidati da un software basato su reti neurali, capace di ottenere ottimi risultati nei primi test. Il meccanismo di funzionamento è semplice: si suppone che esistano fossili in quelle aree che, secondo diversi criteri, somigliano ad altre aree in cui sono stati rinvenuti fossili. Si tratta in sostanza, cioè, di un modo per cercare di replicare artificialmente, per quanto in forma parziale, l’esperienza.
Damiano Verda